Riscoprire i rapporti di vicinato
Come sostiene Carolyn Steel nel suo nuovo libro Sitopia ("food-place", dal greco sitos, cibo e topos, spazio), “non c'è modo migliore di ricostruire se non attraverso la lente del cibo”.
Abito a Milano, in una casa di ringhiera e in queste settimane sto vivendo nel piccolo del mio palazzo un valore di comunità. Sto ritrovando lo Spazio. Siamo confinati a una dimensione nuova, in cui vicini sconosciuti sono pian piano diventati conoscenti, amici, confidenti. I rapporti di vicinato ci stanno trasformando tutti. Sono nato in questo palazzo, mai mi sarei aspettato di vivere questa rinascita spontanea di relazioni e gentilezze. Sul nostro piano, al terzo, abbiamo da subito creato una micro-comunità e cominciato a fare la spesa insieme, cercando il più possibile di supportare piccoli produttori, artigiani di quartiere e prodotti sostenibili. Ormai alla sesta settimana, ci abbiamo preso gusto e pian piano sempre più vicini si stanno unendo, ogni settimana gli ordini collaborativi sono sempre più corposi e le nostre spese alimentari supportano territori, comunità e artigiani. Spesso consegnano loro direttamente ed è una soddisfazione vedere che nel piccolo tutto questo è possibile e contagioso.
Il valore del vicinato
Quanto abbiamo svalutato il valore del vicinato, riducendo sempre di più i rapporti di vicinato a meri saluti di circostanza? Ognuno di noi, preso dalla sua follia, si è spesso dimenticato delle piccole cose. Queste piccole cose che adesso ci permettono di vivere sani, ci consentono di riprendere dimestichezza coi tempi e gli spazi della cucina e dei suoi strumenti.
Lo sostiene Emanuele Coccia, in una riflessione che ci parla di casa, di come abbiamo riempito la città e la nostra casa di cose, insomma, che in questa drammaticità attuale non trovano spazio:
“Pensare alla casa e alla città come se fossero grandi cucine significa capovolgere il rapporto patriarcale trasformandolo in uno spazio di cura che non prenda solo la forma dell’alimentazione. L’atto di cucinare è solo la forma di base dell’atto della cura, quella in cui è impossibile separare la cura del sé da quella degli altri. La casa esiste solo dove c’è cura per qualcosa e qualcuno.”
Il cibo come atto politico e culturale
Come gastronomo, spesso mi rendo conto di essere molto esigente sulla qualità delle materie prime. Sono onnivoro, mangio pochissima carne e pesce. Ho un debole per il pane e la pasta e per me mangiare è un atto agricolo, politico e culturale. Un atto che comincia facendo la spesa, animando la città e la nostra casa, oltre che le nostre cucine e le nostre vite.
Negli ultimi dieci anni a Milano con Expo, ma non solo, il cibo è esploso. Vista dall’interno è stata come una bomba di semi che pian piano ha creato un’impennata della domanda e quindi anche dei consumi, che è stata come una valanga. Difficile stare dietro a nuove aperture in ogni dove, eventi ovunque, week qui e week là. Lo star fuori per star fuori. E d’altronde i salotti chi se li può più permettere in città?
Ripensare l’alimentazione pubblica a Milano
Insomma, in città nessuno - Expo compreso - si è preoccupato in questi dieci anni dei mercati, sia quelli rionali, di quartiere, sia quelli generali. L’alimentazione pubblica cittadina ha seguito a ruota, ferma nell’immobilismo.
I mercati settimanali si sono ritrovati sempre più privi di contenuti, storie, valori e cultura. Qualcuno dirà che comunque qualcosa è stato fatto. È vero. Sicuramente qualcosa è stato fatto in questi anni, in questi settori. Nessuno però ha avuto il coraggio di mettere le mani nel sistema. Prendersi la responsabilità di ricercare, progettare, provare a immaginare un'altra visione di alimentazione pubblica cittadina. Expo è stato un trionfo, una vetrina tirata a lucido. E poi?
Poi siamo qui, citando un passaggio molto lucido di Carolyn Steel:
“Come Covid ci ha ricordato fin troppo chiaramente, il cibo è la più grande forza che modella la nostra vita; legandoci alla natura e l'un l'altro. Viviamo in un mondo modellato dal cibo - una sitopia - ma poiché non valutiamo le cose di cui sono fatte, viviamo in una cattiva sitopia.”
Abbiamo basato le nostre vite sul presupposto che il cibo sia economico, eppure non può esistere una cosa simile. I cambiamenti climatici, l'estinzione di massa, la deforestazione, l'esaurimento del suolo, l'inquinamento, le pandemie e le malattie legate all’alimentazione - queste ultime rappresentano la maggior parte delle "condizioni di salute di base" che ci rendono così vulnerabili al Covid - sono solo alcune delle esternalità del modo che mangiamo. Per riprendere il pensiero di Carolyne Steel, è essenziale nel dopo Covid l’atto di “rivalutare il cibo e le nostre vite intorno a esso”.
Il futuro dell’agricoltura cittadina
E se questo momento fosse adesso? Superiamo il Piano Marshall agricolo. Riprogettiamo l’agricoltura cittadina ed europea sulle esigenze locali della popolazione, ridisegniamo le linee guida dei Ministeri per un’alimentazione sostenibile, introduciamo educazione alimentare nelle scuole. Ripartiamo da qui, da ricette semplici, fatta di materie prime buone, possibilmente provenienti da filiere virtuose. Seguiamo la stagionalità, riprendiamoci l’arte del fai da te e delle conserve. Impariamo a fare la spesa e a popolare la dispensa. In ogni pasto che consumiamo c’è valore e c’è la possibilità di cambiare i modelli precostituiti. Ci hanno abituato che è tutto disponibile sempre, ora abbiamo accettato di stare chiusi in casa due mesi. Quando ci ricapiterà un’opportunità cosi per cambiare, pensare qualcosa di nuovo, col cuore?
Il Milan Food Policy Office
Il sindaco Sala ha creato un ottimo servizio di assistenza ai più fragili in queste settimane ed il Milan Food Policy Office c’è. È già un gran punto di partenza. E se fosse arrivato il momento di passare all’azione e disegnare nuove dinamiche cittadine? In questi ultimi anni la tecnologia ha accorciato le distanze, il digitale permette ormai delle esperienze di acquisto e interazione molto ben fatte di sviluppare community di consumatori affezionati. Perché il pubblico non sviluppa un modello nuovo superando Sogemi e Milano Ristorazione e sviluppando il progetto Milano Alimentazione? Un’alternativa potrebbe essere quella di integrare territori e cluster di produttori virtuosi nei mercati generali, trasformando i mercati rionali in food hub di quartiere, come se fossero alveari permanenti, con servizi di consulenza ai cittadini su come pianificare la spesa e, in generale, la propria alimentazione, insieme a uno sviluppo di corsi di cucina, conserve, intolleranze e a un dialogo costante con un nutrizionista. Il punto di partenza non è ripartire, ma ripensare il cibo in ottica partecipata, attiva, sostenibile. Dove sostenibile non sia solo un’etichetta vuota da esporre in bella vista, ma si faccia anche portatore di valori, primo fra tutti la collettività legata al concetto di alimentazione. Magari attraverso servizi di consegne a casa per i più fragili e spese sospese oppure spese in abbonamento. Tutto questo non è gratis, ma non è caro, se diamo un valore diverso al cibo nella nostra società, rispettiamo i territori, le materie prime, il lavoro agricolo, la biodiversità.
Prendiamoci cura di noi, c’è un foglio bianco da scrivere.
a cura di Nicola Robecchi