Dai dazi alla Brexit, dall'embargo al Coronavirus, il momento è delicato, ma l'Italia ha le carte in regola per farcela. Ecco come.
Tempesta perfetta evitata o solo rimandata?
Di sicuro è stata accolta, con più di un sospiro di sollievo, la decisione del governo Trump di non inserire i vini italiani tra i prodotti colpiti da dazio (almeno per il momento). Rimangono tuttavia le altre incognite che peseranno su tutto questo 2020: il divorzio tra Ue e Regno Unito con le trattative commerciali che seguiranno nei prossimi mesi, l'avanzata del Coronavirus che minaccia di divorare tutto quello che è stato fatto fin qui sui mercati asiatici e l'embargo russo, tutt'ora in vigore, sui prodotti agroalimentari europei, sebbene i consumi di vino italiano stiano dando segnali più che positivi. In questo scenario internazionale così incerto, il global summit del Gambero Rosso Vino 4.0 ha fatto il punto, con un panel dedicato alla “Distribuzione internazionale: i confini dell'espansione”.
Stati Uniti: non abbassare la guardia
“Non possiamo che essere sollevati dall'esclusione dei vini italiani dai prodotti sottoposti ai dazi” esordisce il buyer Dominic Nocerino di Vinifera Imports-Usa “ma la battaglia non è finita: tra sei mesi arriverà la nuova decisione e tocca anche a noi fare la nostra parte. Personalmente nei mesi scorsi ho chiamato ogni congress man dei 20 Stati Usa in cui lavoro per far presente quale sarebbe stato il danno, in primis, per le imprese americane. Bisogna far capire che in caso di tariffe aggiuntive al 100%, il 90% delle aziende che lavorano con il vino potrebbe chiudere”. Poi l'appello di Nocerino: “Anche voi in Italia dovete fare lo stesso: parlare con con i vostri rappresentanti per evitare anche in futuro che questa minaccia diventi realtà. Oltretutto trovo assurdo che venga penalizzato il vino per una questione - quella degli Air bus – che non lo riguarda. E per il futuro bisogna anche considerare le possibili ripercussioni della questione digital tax”.
Le nuove dinamiche del mercato statunitense
Pericoli a parte, il buyer statunitense ha illustrato anche le nuove dinamiche del mercato statunitense, in particolare il passaggio di testimone dai boomers alla generazione Y: una transizione che va accompagnata. “Oggi c'è più attenzione per il vino italiano rispetto al passato, quando veniva considerato buono ma non al livello di quello francese”. Ricordiamo che il 2019 si è chiuso con il testa a testa tra Francia e Italia, rispettivamente a 1,92 miliardi di euro (+7,7%), e 1,75 miliardi di euro (+4,4%). “Tuttavia” fa notare Nocerino “la platea si è allargata e la concorrenza viene anche dai vini statunitensi, quindi bisogna giocarsi tutte le armi a disposizioni, prima tra tutte la cucina italiana. Non solo. Il compito per i prossimi anni sarà fidelizzare anche i più giovani. Quello che raccomando ai produttori è, quindi, di non allentare la presa: devono venire negli Stati Uniti per mantenere un feeling diretto con i consumatori e organizzare quanti più incoming possibili in Italia per legare la promozione del vino a quella territoriale”.
Regno Unito. Gli scenari possibili nel 2021
Più complessa appare, invece, la situazione Oltremanica, con gli scenari possibili che, dal convegno del Gambero Rosso, ha delineato in modo molto chiaro Rebekah Kendrick della The Wine and Spirit TradeAssociation in Uk: “Siamo in un periodo di transizione che durerà circa 10 mesi e mezzo, alla fine del quale potrebbero esserci tre possibili esiti: il Regno Unito e l'Ue disporranno di un accordo di libero scambio completo, senza alcuna tariffa aggiuntiva e nessuna restrizione; si arriverà ad un accordo negoziato, non solo in termini di tariffe, che presupporrà controllo doganali nello spostamento della merce dall'Ue al Regno Unito; non si arriverà ad un accordo: ed è lo scenario che ci preoccupa di più, sebbene siamo sicuri che saremo in grado di affrontarlo”. Abbozzata la cornice, non resta che capire anche cosa nella pratica cambierà per i produttori.
Anche su questo Kendrick è stata molto schematica: “Prima di tutto potrebbero cambiare le tariffe: se il Regno Unito non arriverà ad un accordo – ma solo in quel caso - alla fine di dicembre 2020, potrebbe essere necessario pagare una tariffa sulle merci, che può variare dai 13 euro al litro ai 32 euro per lo spumante. Nello stesso scenario di no deal, subentrerebbe anche il problema etichettatura: bisognerà indicare in etichetta l'indirizzo di un importatore nel Regno Unito che deve assumersi la responsabilità del prodotto. La terza questione riguarda gli accordi doganali e le eventuali dichiarazioni da assolvere, più costose e lunghe rispetto alle attuali. Infine, la certificazione di importazione, la VI-1: quella che ci preoccupa di più – perché presuppone una serie completa di test di laboratorio sul vino, ognuno dei quali costa circa 330 sterline. Ma speriamo in una versione molto più semplificata”. Intanto, negli 11 mesi del 2019, l'Italia ha esportato in Uk 267 milioni di litri di vino contro i 261 milioni dell'anno precedente e ha perso qualche punto a valore: 716,5 milioni di euro contro 750,5 (fonte Istat).
Russia. Segnali di distensione
Segnali positivi vengono dal mercato russo, con la missione, la settimana scorsa, della ministra delle Politiche Agricole Teresa Bellanova che a Mosca ha incontrato il suo omologo Dmitry Patrushev. L'embargo sui prodotti agroalimentari, però, a distanza di cinque anni e mezzo è ancora in vigore: prorogato la scorsa estate fino al 31 dicembre 2020 (dopo si vedrà), con perdite per il Made in Italy di circa 1,2 miliardi di euro, secondo le stime Coldiretti.
Al Convegno 4.0 è intervenuto sul tema Anatoly Korneev di Simple Group-Russia: “Per fortuna l'embargo non ha mai toccato direttamente il vino” ha detto “tuttavia in questi anni la ristorazione italiana è stata praticamente dimezzata, perché mancano le materie prime: dai salumi ai formaggi”. Difficilmente, quindi, dopo l'embargo si potrà tornare indietro. La buona notizia è che, nonostante tutto, il vino ha trovato nuovi spazi, diventando uno dei prodotti più bevuti dalle nuove generazioni e andandosi a sostituire alla bevanda nazionale per antonomasia, la vodka. Le esportazioni verso Mosca, da gennaio a novembre, sono cresciute sia a volume sia a valore, passando da 38 milioni di litri del 2018 a 48,6 milioni per un valore di 118 milioni di euro (erano 98 nello stesso periodo del 2018).
Intercettare le nuove tendenze in Russia
Ora, però, si tratta di intercettare le nuove tendenze in corso - dai vini rosati agli orange wine, dai vini biologici a quelli naturali – e di imparare a parlare ad una platea più giovane. “La comunicazione della generazione Y è diversa da quella dei loro padri: dobbiamo trovare nuove forme di promozione” sottolinea Korneev “è una generazione molto attratta dai vini naturali e da denominazioni meno classiche. Si spiega così il successo di regioni 'nuove', come ad esempio la Puglia e la Sicilia, ma anche di piccolissime nicchie di mercato. Occhio, infine, a tutto un nuovo mondo del vino, non solo extraeuropeo, che spinge e che diventa molto concorrenziale: penso ad esempio ai vini portoghesi, sconosciuti in Russia fino a qualche anno fa”.
Asia. Quali ripercussioni a causa del Coronavirus?
Non ha nascosto i timori da Coronavirus Gian Carlo De Cesare di Italiasa Group che dal 1962 opera in Thailandia. “In tutta l'Asia Orientale, ci troviamo ad affrontare una situazione di mercato complicata e con pochi precedenti” ha detto “è presto per fare previsioni: siamo in stand by in attesa di capire cosa accadrà nei prossimi mesi. Intanto hotel e ristoranti, ma anche duty free stanno già registrando una prima forte recessione: in 15 giorni le cancellazioni degli arrivi sono stati massicci. Ma dobbiamo capire cosa succederà in quella che è l'alta stagione in Asia: ottobre-novembre. Ed allora bisognerà controbilanciare le perdite della prima parte dell'anno. Stiamo raccogliendo le idee per capire come”. Di sicuro, non può abbandonare uno sbocco di mercato potenzialmente così importante.
Gli acquisti in Asia avvengono online
De Cesare suggerisce “di veicolare il prodotto sempre più come territorio e non come singolo brand, puntando tutto sull'alta qualità e creando momenti di incontro. Inoltre” continua “bisogna capire gli stili di vita asiatici e l'approccio al vino diverso dal nostro. A partire dagli acquisiti che avvengono per oltre il 10% online: le piattaforme di e-commerce possono essere decisive”. Da non tralasciare, infine, il ruolo della promozione: “Gli incontri individuali e i wine dinner da soli non bastano” ha concluso De Cesari “abbiamo bisogno di luoghi di confronto, tavole rotonde e convegni come questo organizzato dal Gambero Rosso. Anzi sarebbero auspicabili anche in Asia. Quello che ci serve è l'aiuto di grandi player come il Gambero e di istituzioni come l'Ice per muovere meglio la distribuzione dei vini italiani all'estero”.
a cura di Loredana Sottile
Articolo uscito nel Settimanale Tre Bicchieri del 20 febbraio 2020