Il valore dell’italian sounding
L’allarme - che dati alla mano non è più semplice allarmismo - si propaga con vigore analizzando il 2019 dell’export agroalimentare italiano a confronto col mercato del falso Made in Italy e il suo andamento nello stesso arco temporale. Il risultato? Il falso alimentare ispirato ai prodotti tricolore vale oggi più del doppio della filiera autentica: oltre 100 miliardi di euro contro 42, a vantaggio del cosiddetto italian sounding, che negli ultimi dieci è cresciuto senza battute d’arresto, con percentuali preoccupanti (70%) e sottraendo all’agroalimentare italiano 300mila posti di lavoro stimati. È l’associazione Filiera Italia a pubblicare questi dati, analizzando con particolare attenzione l’ultimo travagliato periodo del 2019, a seguito dell’entrata in vigore dei dazi americani su molti prodotti alimentari europei.
I dazi Usa. Difficoltà per il Parmigiano Reggiano
Il numero più eclatante è quello che riguarda - senza troppe sorprese, considerando la dura penalizzazione del comparto caseario – il Parmigiano Reggiano; negli Stati Uniti, nel 2019, sono state vendute 150mila tonnellate di prodotto, contro le 900mila di Parmesan (gli USA ne producono 190 milioni di chili ogni anno, mentre il Pecorino senza latte di pecora vanta 25 milioni di chili prodotti), che all’originale italiano fa il verso. Per quel che riguarda i salumi, invece, fanno le spese dei dazi al 25% principalmente salami e mortadella esportati dall’Italia, rimpiazzati da prodotti locali a prezzo più contenuto. Tiene meglio il prosciutto, destinato a una fascia di consumatori con maggiore capacità di spesa. “I dazi Usa fanno più male alle nostre eccellenze di quanto era sembrato a prima vista” spiega quindi Luigi Scordamaglia, consigliere delegato di Filiera Italia “il conto per l’agroalimentare italiano è particolarmente salato, siamo stati messi davanti a un ‘attacco selettivo’ riservato a quelle eccellenze del Made in Italy più imitate e contraffatte negli Stati Uniti. Il settore dei formaggi, innanzitutto”. Ne abbiamo discusso a lungo, qualche giorno fa, con i protagonisti della filiera agroalimentare italiana: produttori, consorzi, associazioni, politici, importatori, ristoratori e pizzaioli d’oltreoceano, che pur mostrando la propria preoccupazione, hanno evidenziato la capacità di reazione del mondo produttivo italiano, compatto (per una volta) nel cercare di scongiurare il momento difficile facendo rete, stringendo nuove relazioni, implementando le attività promozionali del made in Italy.
Strategie di difesa. La politica al lavoro
Proprio a proposito del Parmigiano Reggiano, le dichiarazioni del Consorzio andavano dritte al punto: “Il fatto che il Parmigiano Reggiano sia sugli scaffali a 50/60 dollari al chilo, mentre il Parmesan a 10 dollari al chilo non invoglia il consumatore ad acquistare il prodotto autentico, specie se non ha la cultura per comprenderne le differenze. Faremo del nostro meglio affinché i consumatori americani siano consapevoli del valore della nostra Dop, così che siano disposti a spendere qualche dollaro in più per avere in tavola l’autentico ‘Re dei Formaggi’”.
Nell’incontro del 30 gennaio scorso tra il ministro Teresa Bellanova e il segretario dell‘Agricoltura Usa Sonny Perdue si è ribadita la necessità di evitare il ricorso a guerre commerciali: “Noi abbiamo sempre considerato gli Stati Uniti un alleato fondamentale e strategico. E vogliamo che sia così. Sappiamo bene come le questioni in gioco sono di grande sensibilità, non solo per il settore agroalimentare ma per il futuro delle relazioni fra le due sponde dell’Atlantico. L’introduzione e l’aumento dei dazi avrà effetti negativi per tutti: i consumatori saranno costretti a pagare a prezzi più elevati i prodotti alimentari, le imprese avranno più difficoltà ad esportare e con costi di approvvigionamento più elevati, i Governi saranno costretti a compensare i maggiori costi con risorse pubbliche". Poi, come già accaduto in passato con altri attori politici, il Ministro ha donato al Segretario un cesto di prodotti Dop e Igp già colpiti dai dazi. Servirà a far breccia?