Dazi Usa: la diplomazia cerca di salvare il vino italiano

17 Gen 2020, 16:30 | a cura di
Mentre sono in corso le missioni diplomatiche, il comparto vitivinicolo si compatta: arriva l'intesa tra il Ceev e il Wine Institute a favore del libero commercio e l'Ue conferma l'aumento del contributo Ocm. Francia e Spagna accusano già il colpo.

Diplomazia al lavoro in questi giorni in cui il mondo vitivinicolo rimane sospeso sulla corda tesa dei dazi. Sospeso ma non di certo a guardare.

E intanto il primo risultato è già arrivato: il via libera degli Stati Ue all'aumento del contributo spese ammissibili per l'Ocm promozione, che passa dal 50% al 60% e permette più flessibilità sulle campagne già approvate, anche con la possibilità di cambiare mercati target in corso. Una decisione da più parti sollecitata in queste settimane per permettere alle aziende vitivinicole di vivere con maggiore serenità questo momento di incertezza e non rinunciare ai programmi di promozione in Usa e negli altri Paesi terzi.

L'intesa tra Ceev e Wine Institute

La seconda buona notizia è che il Comité Européen des Entreprises Vins (Ceev) e l’americano Wine Institute hanno siglato un’unione d’intenti per chiedere ai rispettivi Governi l’eliminazione di tutte le tariffe sul vino, applicando il principio del “zero per zero” previsto dal GATT. In pratica, un allineamento totale dell'industria vitivinicola Usa ed Ue a sostegno del commercio libero ed equo, così come si legge nel testo redatto dalle due associazioni, che insieme rappresentano decine di migliaia di piccole e medie imprese nelle due sponde dell'Atlantico: “Chiediamo ai governi dell'Ue e degli Stati Uniti di aprire ulteriormente l'accesso reciproco ai mercati eliminando completamente, immediatamente e contemporaneamente tutte le tariffe sul vino. Chiediamo, inoltre, ora e in futuro, di astenersi dal prendere di mira il vino in controversie non correlate con tariffe punitive”.

Il documento evidenzia anche come queste ritorsioni finiscano per creare incertezza economica per tutti gli attori coinvolti, comportando licenziamenti lungo la filiera (anche e soprattutto americana) e aumenti dei prezzi per i consumatori finali. Argomenti che - insieme alle 24mila dichiarazioni pubblicate sul sito del Governo americano da parte di fornitori, importatori, distributori, piccole aziende e consumatori americani per dire no all’applicazione di ulteriori dazi sul vino - dovrebbero mettere in guardia Trump dalle conseguenze in prima battuta proprio per la sua “America first”.

Definitive le parole di Bobby Koch, presidente e ceo del Wine Institute, che sigillano l'intesa: “I mercati di esportazione sono un'opportunità di crescita chiave per le cantine statunitensi. È giunto il momento per tutti i governi di riconoscere i vantaggi unici del commercio del vino ed eliminare i dazi una volta per tutte".

Il ruolo dell'Italia e la petizione dei vignaioli

Intanto, anche in Italia proseguono le pressioni e i carteggi con l'Unione Europea per tentare il tutto per tutto. Come abbiamo già raccontato, infatti, la petizione promossa da Michele Antonio Fino, insieme ai vignaioli Marilena Barbera, Gianluca Morino e Paolo Ghislandi è arrivata - corredata da quasi 18mila firme - sul tavolo dei Commissari europei all'economia, all'agricoltura e al commercio, proprio nei giorni in cui quest'ultimo, Philip Hogan, è volato a Washington per dare il via alla sua missione diplomatica negli States. Il documento, inoltre, è stato consegnato - in due incontri face to face – anche alla Farnesina e al Mipaaf.

“Vi chiediamo di prendere coscienza” si legge nel testo inviato dai produttori italiani “che molte migliaia di famiglie vedranno il loro futuro diventare incerto; molti mercati soffriranno le oscillazioni di prezzo dipendenti dalla necessità di ricollocare il vino prima destinato all'America; intere regioni d'Europa si impoveriranno e avranno bisogno di anni e di notevoli aiuti finanziari per recuperare le posizioni perdute”.

Le richieste di Teresa Bellanova

Ma questa non è stata l'unica lettera con destinazione Bruxelles. Nei giorni scorsi, la cassetta del postale del Commissario Hogan ha ricevuto anche la missiva della ministra delle Politiche Agricole italiana Teresa Bellanova, che ha voluto mettere nero su bianco tre priorità su tutte: utilizzare tutte le armi della diplomazia politica per scongiurare la penalizzazione dell'agricoltura e dell'agroalimentare europei; costituire immediatamente un Fondo ad hoc, senza assolutamente intaccare le risorse Pac, per affrontare questa e altre crisi commerciali; mantenere l'unità d'azione europea e la coesione tra gli Stati membri che la strategia dell'amministrazione statunitense sta a colpi di dazi tentando di minare.
“Le nostre imprese” recita la lettera “hanno già pagato l'embargo russo e non sanno cosa aspettarsi da Brexit. E noi non possiamo muoverci solo dopo che il disastro è accaduto. Dobbiamo farlo prima e dobbiamo farlo subito".

A novembre la Francia “paga dazio”

Per chi avesse dubbi su quanto la chiusura delle frontiere possa fare male al vino, basti vedere il caso francese. Come evidenzia l'Osservatorio Vinitaly Nomisma Wine Monitor, il mese di novembre (appesantito dai dazi aggiuntivi al 25% scattati il 18 ottobre) per il nostro principale competitor negli Usa è stata una vera débâcle: vini fermi a-36% a valore rispetto alla stessa mensilità dell'anno precedente e proprio sotto le feste natalizie. Lo scorso anno era stata raggiunta quota 80,8 milioni di euro, quest'anno si va sotto fino a 51,7 milioni di euro. Uno dei valori più bassi raggiunti nell'ultimo decennio. Se si osserva l'andamento del quinquennio (2014-2019) si noterà, inoltre che nel mese di novembre, le importazioni di vino francese in Usa non avevano mai subito una battuta d'arresto. Una casualità? D'altronde non è andata meglio alla Spagna, anch'essa soggetta alle tariffe aggiuntive (insieme a Germania e Regno Unito), che ha però contenuto le perdite a -9,2.

Novembre in Italia

Di contro, l'Italia (graziata dai dazi) ha messo a segno un quasi +10%, portando a casa negli 11 mesi un lusinghiero (visti i tempi) 1,6 miliardi di euro. Attenzione, però, perché se in questo ultimo periodo, il Belpaese ha, in qualche modo, tratto beneficio dalle tariffe aggiuntive che hanno colpito gli altri Paesi Ue, a lungo andare - e al netto della nuova black list - a perdere sarà il Vecchio Continente tutto, così come mette in guardia il direttore generale di Veronafiere Giovanni Mantovani: “Con la calamità delle possibili imposte aggiuntive, la produzione interna statunitense non sarà in grado di soddisfare la domanda e l’Europa rischia così di perdere quote di mercato difficilmente recuperabili in futuro, a tutto vantaggio del Nuovo Mondo produttivo”. Oltre all'Italia, l'undicesimo mese dell'anno ha sorriso, infatti, anche alla Nuova Zelanda che – anche grazie ai segni meno dei principali produttori europei – ha potuto sfoderare un +8,8%.

I nodi della questione e i prossimi step

Scaduto il mese di tempo (dal 12 dicembre al 13 gennaio) per raccogliere i commenti degli stakeholder sul sito governativo Usa, l'Ustr (United States Trade Representative) dovrà decidere se rimuovere dalla lista alcuni dei prodotti colpiti da dazi a partire dal 18 ottobre, modificare le tariffe relative a quegli stessi prodotti e/o aggiungere nuovi prodotti, come ipotizzato nei mesi scorsi (secondo al lista già diffusa che includerebbe anche il vino italiano). Il momento è delicato e la decisione potrebbe essere questione di ore o giorni. Motivo per cui Philip Hogan è partito, lo scorso martedì, per Washington in missione diplomatica: la prima missione da commissario commerciale dell'Ue, avendo precedentemente ricoperto l'incarico di commissario per l'agricoltura e lo sviluppo rurale (materia che, quindi, conosce molto bene).

Non solo. Sul piatto, oltre ai vini europei legati alla vicenda Airbus, c'è anche un'altra questione: quella degli Champagne. In seguito alla decisione francese di introdurre un'imposta sulle vendite digitali (DST) dei giganti della tecnologia come Apple, Google e Amazon, il Governo Trump potrebbe rispondere con tariffe fino al 100% sullo champagne, nonché sul formaggio francese e su alcuni settori della moda. Una questione, quest'ultima, che in questo momento non dovrebbe riguardare il vino italiano (ma non si esclude nessuna ipotesi) e su cui, negli Usa, si sono tenute diverse audizioni tra gli importatori di vino e le amministrazioni federali.

Tregua Usa-Cina. Quali risvolti per l'Ue?

Sia gli Stati Uniti che l'Ue rappresentano reciprocamente i maggiori mercati di esportazione, con scambi totali che hanno raggiunto i 4,66 miliardi di euro nel 2018 (elaborazioni Uiv), creando posti di lavoro e investimenti su entrambe le sponde dell'Atlantico. Tuttavia, la tregua appena siglata tra Stati Uniti e Cina, potrebbe modificare gli scenari. L'accordo ha, infatti, garantito l’aumento significativo delle importazioni cinesi di prodotti agricoli americani, come carne di maiale, pollame, grano, mais, riso e soprattutto soia. E questo potrebbe modificare in futuro la domanda di materie prime con conseguenze inedite nel commercio mondiale. “Con la tregua tra Usa e Cina è guerra alla Ue”, è la lettura poco ottimistica di Coldiretti, nel sottolineare che, nel primo mese successivo all’entrata in vigore dei dazi, l'Italia – colpita dalle tariffe aggiuntive al 25% su formaggi, carni lavorate e liquori - ha già visto crollare le esportazioni complessive del Made in Italy negli States del 10,4%, con una drastica inversione di tendenza rispetto ai dieci mesi precedenti in cui erano aumentate in media del 11,3%.

a cura di Loredana Sottile

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 16 gennaio 2020
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