È passato più di mezzo secolo da quando Salvador Dalì ha messo mano al logo di Chupa Chups, marchio planetario oggi “italiano”: dal 2006 fa parte del gruppo Perfetti van Melle, fusione di una realtà lombarda (sorta negli anni Quaranta a Lainate) e una olandese (nata un secolo prima).
La storia di Chupa Chups e Salvador Dalì
Nel 1968 il brand spagnolo era già attivo da un decennio: guidato dal catalano Eric Bernat, avrebbe mutato strategie e nome (Gol, Chups) diverse volte prima di fare il salto nell’empireo dei lecca lecca. Pare che sia stato proprio lui – nipote di Joseph, pasticciere barcelonì – a chiedere al talento di Figueres di ripensare la scritta rossa in campo giallo.
Era all’epoca un sessantaquattrenne – età iconica, When I’m sixty-four di Paul Mc Cartney risuonava alla radio – e in quel periodo s’era cimentato con qualcosa di simile, uno spot per un’etichetta di Digione: occhi sbarrati, mustacchi che scattano all’insù e un urlo, “Je suis fou du chocolate Lanvin!”.
Il risultato è frutto di due intuizioni geniali
Torniamo alla caramella iberica con lo stecco ché la storia – vera o verosimile (ma più reale che surreale) – racconta di un bozzetto schizzato in fretta e furia al tavolino di un bar, il solito insolito parto senza gestazione. Cambia poco, il risultato è frutto di due intuizioni geniali: l’idea di uno sfondo con otto lobi tondeggianti e la decisione di piazzarlo sulla punta della sfera da “chupar”, non di lato.
Qualche nota per nerd e nozionisti: nella prima versione Chupa era in Serif maiuscolo mentre Chups in corsivo di font non identificato. Quello di oggi è lo stesso di vent’anni fa, l’ultima modifica ha aggiunto un bordo tricolore (bianco, rosso, oro) e imposto la R del marchio registered.
Articolo uscito nel Magazine di dicembre 2018 del Gambero Rosso. Il numero lo potete trovare in edicola o in versione digitale, su App Store o Play Store
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