Fukushima. Il disastro nucleare del 2011
I disastri ambientali, ancora troppo spesso causati dall’uomo, impattano profondamente sull’ecosistema di un territorio. E dunque anche sul nostro modo di relazionarci con esso, di vivere con e delle risorse che è in grado di offrire. Modificando per lunghi periodi di tempo (o per sempre) lo stile di vita e le abitudini di chi lo abita (e il problema riguarda ogni specie vivente). A Fukushima – sorte comune a tutti i luoghi travolti da incidenti nucleari – c’è stato un prima e un dopo. Il giro di boa è datato 16 marzo 2011, qualche giorno dopo il violentissimo terremoto che devastò la regione di Tohoku, nel Giappone settentrionale, innescando una reazione a catena di catastrofi, culminata con l’incidente ai reattori nucleari dell’impianto gestito nell’area dalla Tokyo Electric Company, che rilasciarono radioattività nell’aria, in mare e nelle falde acquifere di un’area molto estesa. Oggi, e per molti anni a venire, il Giappone dovrà impegnarsi in un intenso programma di bonifica per decontaminare l’area colpita, ed è delle ultime ore l’allarme del ministro dell’Ambiente giapponese, che a distanza di quasi 10 anni si trova ancora a dover affrontare lo smaltimento delle acque radioattive presenti nell’impianto.
I problemi della bonifica
Necessaria per garantire le operazioni di raffreddamento dei reattori danneggiati, l’acqua è contaminata dal trizio (un isotopo comunque poco pericoloso per l’uomo) e finora è stata stoccata in grandi serbatoi costruiti ad hoc, che entro il 2022 raggiungeranno la capienza massima. L’unica opzione? Rilasciarle nel Pacifico, per rallentare ulteriormente lo smantellamento della centrale.
Made in Fukushima. Il libro: la rinascita del riso
Tutt’intorno, però, com’è ripresa la vita? Il libro Made in Fukushima, frutto di una collaborazione tra l’agenzia internazionale Serviceplan, lo studio grafico tedesco Moby Digg e il fotografo Nick Frank, vuole dare un segnale di speranza, ma soprattutto abbattere il muro della diffidenza che avvolge qualunque considerazione in merito ai – pur lenti – miglioramenti di una situazione di partenza gravissima non solo per l’impatto diretto sulle vite umane, ma pure per le ricadute sull’economia rurale di un territorio adibito principalmente alla coltivazione del riso. A seguito dell’incidente, infatti, furono evacuate 300mila persone, mentre 25mila ettari di terreno agricolo risultarono contaminati. Appena fu possibile, iniziarono le operazioni di bonifica. Mentre un gruppo di ricercatori guidato dal dottor Masaru Mizoguchi dell’Università di Tokyo, con il supporto di Meter Group, avviò una sperimentazione che si sarebbe rivelata decisamente illuminata, a sostegno di alcuni agricoltori locali non intenzionati a darsi per vinti.
Ora il riso di Fukushima è sano. Ma nessuno lo vuole
Ci sono voluti molti anni di test per arrivare a perfezionare un metodo di coltivazione che garantisse di raccogliere riso non contaminato, e quindi privo di rischi per la salute. Così, ora, il riso di Fukushima è nuovamente sul mercato. Ma vincere il clima di sospetto e diffidenza è un ostacolo altrettanto duro da sormontare, perché “il pregiudizio è più forte della verità scientifica”, sottolineano i ricercatori coinvolti. Il libro, simbolicamente realizzato proprio in carta di riso raccolto nelle risaie bonificate, vuole raccontare questa storia, e raccoglie allo scopo interviste ai protagonisti, analisi scientifiche, infografiche, fotografie che aiutano a chiarire la situazione. E perché tutti possano prenderne facilmente visione, Made in Fukushima si può leggere gratuitamente anche online, a questo link (le copie cartacee, 296 pagine rilegate in carta di riso, si ordinano sul sito del progetto). “Questo libro utilizza i dati scientifici per provare che il riso di Fukushima è sano” spiegano gli ideatori della ricerca; anzi “più di altre produzioni analoghe provenienti da altre aree del Giappone non soggette a controlli così restrittivi” aggiunge uno degli agricoltori intervistati tra le pagine. Stampato in doppia lingua, giapponese e inglese, del libro è stato fatto omaggio “ai leader del sistema alimentare globale”, spiega ancora il sito “perché possano intervenire a favore di una microeconomia che sta cercando di rialzarsi”.
E c’è anche il sake
Innescando una reazione a catena che inverta la sequenza di catastrofi del 2011: a Namie, nella prefettura di Fukushima, la ripresa della produzione di riso sano ha già spinto un distillatore locale a riavviare la produzione di sake letteralmente spazzata via dallo tsunami di allora. Per sopravvivere, in questi anni, la Suzuki Brewery è stata costretta a traslocare nella prefettura di Yamagata. Ma ora l’intenzione è quella di tornare a Namie, per proseguire dov’è nata una tradizione di distillazione del sake risalente al periodo Edo. E mentre si lavora alla costruzione del nuovo impianto di Namie, il mastro distillatore Daisuke Suzuki ha già ripreso a rifornirsi presso i produttori di riso di Fukushima. La diffidenza si può sconfiggere insieme.
a cura di Livia Montagnoli