Del Pappagallo a Bologna si sentiva parlare per la prima volta dai propri genitori o dai nonni, e i racconti accendevano la fantasia, per via del simpatico nome di pennuto così insolito per un ristorante di lusso, un posto dove portare da giovanotti con le morose. Ma al Pappagallo ci si è tornati per celebrare il nuovo corso, e ancora di più la sua storia, nella cena del centenario.
L’ingresso del Pappagallo, all’interno di un palazzo del ‘300 a pochi passi da Santo Stefano - uno dei più suggestivi luoghi di Bologna - è rimasto più o meno quello, e anche l’interno non ha subito modifiche strutturali, ma quel che si percepisce nella nuova gestione di Michele Pettinicchio e Elisabetta Valenti è la forte motivazione: la nuova compagine vive questa acquisizione avvenuta due anni fa con l’orgoglio e la soggezione che si deve a un’insegna di tale prestigio.
Al Pappagallo. Un pezzo di storia di Bologna
Chissà come doveva apparire quell’angolo di Bologna sotto alle Due Torri alla fine degli anni venti, la Grande Guerra era finita da un anno, le industrie ripartivano e ci si rimboccava le maniche, mentre veniva ampliato il Mercato di Mezzo e per fare spazio a nuovi edifici si abbattevano otto torri antiche, delle centottanta che si contavano nel Medioevo e fruttarono a Bologna l’appellativo di turrita.
Quando nel 1919 inaugura Al Pappagallo, c’era voglia di ridere e di sedersi a tavola dopo gli anni del conflitto e Giovanni Zurla intuisce che è il momento giusto. Lo stimato cuoco bolognese amato dall’aristocrazia cittadina inizialmente apre con i quattro figli in via Pescherie Vecchie, Gilberto (il più grande) sceglierà la carriera bancaria, Vittorio seguirà la cucina insieme al padre, mentre Mario e Guido si occuperanno del servizio di sala.
Al Pappagallo. L'insegna
Sul nome dell’insegna sono state fatte diverse ipotesi, qualcuno dice che potrebbe essere ispirata alle allegre rime che si potevano leggere sul “Pappagallo”, il celebre giornale umoristico diretto da Augusto Grossi, o potrebbe fare riferimento al pappagallo nella voliera che faceva bella mostra all’interno, un portafortuna voluto da Giovanni che era amante degli animali.
Al Pappagallo. I primi anni in via Pescherie Vecchie
Nessun dubbio invece sulla sopraffina cucina tradizionale elogiata da Paolo Monelli nel 1931 sulle pagine del Ghiottone Errante, già così nota da essere esportata a Londra dove gli Zurla vennero invitati (e spesati) per insegnarla ai cuochi del ristorante Quo Vadis, sontuose bontà bolognesi che colpirono anche il celebre Augusto Murri, considerato il “sommo dei clinici medici”, che nel 1927 consigliava a un suo paziente: “Caro signore più che di medicine ella ha bisogno di cibi sani e ben cotti, purtroppo infrequenti nelle comuni trattorie ma se vuole conoscere una cucina impareggiabile per cibi delicati e deliziosi, vero sanctuaire de la gourmandise e della salute vada al Pappagallo di Zurla attiguo a san Petronio”.
Al Pappagallo. La nuova sede in piazza della Mercanzia
Una cucina che terrà banco per diciotto anni in via Pescherie Vecchie fino alla morte di Giovanni Zurla e al trasferimento del locale nella vicina Casa Bolognini in piazza della Mercanzia, l’ombelico di Bologna. Vittorio ormai chef esperto proseguirà nel segno di una cucina tipica e di qualità, senza mai trascurare l’esercizio troverà modo di recarsi a Parigi e Londra per raffinare la sua esperienza e riportarla al Pappagallo, mentre cominceranno a piovere inviti ad appuntamenti di cucina internazionale, a cui si recherà insieme al fratello Mario.
Il locale ormai entrato nel gotha della ristorazione internazionale figurerà nelle agende dei più facoltosi gourmet arrivando ad essere considerato da Leslie Barney tra i tre migliori locali d’Europa, insieme all’Epaule de Mouton di Bruxelles e alla Pyramide di Vienne (Francia). Bruno Tasselli, allievo di Giovanni Zurla, affiancherà Vittorio e i fratelli nella gestione, un valente chef itinerante che per più di mezzo secolo darà il suo contributo all’insegna storica degli Zurla, scodellando alle più note celebrità di passaggio in città la miglior cucina tradizionale, ingentilita da tocchi di eleganza. La guida ai ristoranti e trattorie d’Italia dell’Accademia italiana della cucina, fondata da Orio Vergani, consigliava nel 1961 di assaggiare il pasticcio di tortellini in pasta sfogliata, supreme di pollo in salsa champagne, budino di pollo alla Richelieu, filetti di tacchino alla cardinale e alla Margaret Rose.
Al Pappagallo. L’albo d’oro
Nel prestigioso ristorante bolognese si mangia in mòd particulér, dalle tagliatelle alle lasagne verdi, dal filetto all'olandese ai turtlein bì, péin e zàl (tortellini belli, pieni e gialli), e sono molti gli ospiti illustri che fanno tappa fissa al Pappagallo, a partire da Siegfried Wagner, erede del celebre compositore Richard, che quando è al Teatro Comunale di Bologna per dirigere un'Opera, conclude sempre con una cena al Pappagallo in Piazza della Mercanzia.
Nel 1921 cenerà al Pappagallo Albert Einstein, in città per una serie di conferenze sulla relatività, nel ’31 toccherà ad Arturo Toscanini assaggiare la cucina degli Zurla, nel ‘48 sarà la volta di Douglas Fairbanks e Tyrone Power, a un anno di distanza dalle nozze a Roma con Linda Christian, nel ’55 verrà Sophia Loren, in città per fare da madrina alla "Fiera della Calzatura", seguita l’anno successivo da Gina Lollobrigida nel medesimo ruolo, Alfred Hitchcock vi pranzerà nel ‘60 dopo una visita al Museo Civico Archeologico e una passeggiata in centro, e poi Sharon Stone, Gerry Mulligan e ancora Lionel Richie, Tullio Carminati, Ugo Tognazzi, Brigitte Nielsen, Matt Dillon, Franco Capuana, Gino Marinuzzi, Dino Sarti, Francesco Guccini.
Seguiranno anni di alterne gestioni con la parentesi di Gianluigi Morini patron del San Domenico di Imola e nel 1988 dei comici Andrea Roncato e Gigi Sammarchi, fino al 2017 quando le chiavi del centralissimo locale entrano in possesso di Michele Pettinicchio ed Elisabetta Valenti.
Al Pappagallo oggi
Ambienti ampi e alti soffitti a cassettone con pareti chiare, due grandi lampadari in cristallo anni ’50 e tavoli in legno con una mise en place che non prevede tovaglie. Accanto, nella torre Alberici, nei locali che si ritiene ospitassero la prima formaggeria d’Italia e forse d’Europa (attiva già nel 1300), c’è un’altra sala ristorante, un tempo estensione naturale del Pappagallo, ora accorpata.
Al Pappagallo. Il menu dei 100 anni
La pasta è tirata con il mattarello nel laboratorio sotto al locale, mentre la filosofia di cucina si ispira senza indecisioni alla rassicurante cucina tradizionale bolognese e attinge al monumentale archivio del Pappagallo con materie prime selezionate, tecniche di cucina contemporanea e prudenti e ragionate riletture.
La carta, che contiene i grandi piatti che hanno portato Bologna nel mondo si arricchisce di due menu tradizione e di degustazioni verticali alla scoperta dei grandi salumi e formaggi italiani. In occasione del centenario è stato pensato un percorso storico gastronomico di grande piacevolezza in abbinamento ai vini di Cantina della Volta: la galantina di pollo alla bolognese con zabaione salato e gelatina di brodo, abbinata al Christian Bellei Metodo classico 2013; il tortino di mortadella su crema di parmigiano reggiano con pistacchi canditi e tostati con Lambrusco di Sorbara Rosè Doc 2014 Metodo classico; i tortellini al mignolo in brodo di cappone e i tortellini al mignolo in goccia d’oro con Lambrusco di Sorbara Doc 2016 Brutrosso Metodo classico; la cotoletta di vitello con osso alla bolognese con Lambrusco di Sorbara Doc 2014 “Trentasei” Metodo classico; per concludere con la crostatina di pasta frolla ai frutti di bosco e Lambrusco di Modena spumante Doc DDR 2009 Metodo classico.
Al Pappagallo. Il centenario
Numerose le iniziative che per tutto il 2019 richiameranno l’attenzione sull’importante ricorrenza dei cento anni, nascerà un bar all’interno e in autunno saranno organizzate cene a tema che richiamano ai momenti musicali più importanti del Novecento che hanno accompagnato la storia del Pappagallo.
Al Pappagallo – Bologna - piazza della Mercanzia, 3
tel. 051 232807 - www.alpappagallo.it/
a cura di Luca Bonacini