Una delle più grandi maison dello Champagne, per numeri e importanza storica. Un racconto che parte da Reims nel 1772 grazie a Philippe Clicquot, continua con il successivo passaggio di testimone al figlio François, fino a giungere nelle mani decisive della moglie Barbe Nicole Ponsardin nel 1805, a seguito della prematura scomparsa.
La vedova Clicquot
Fu proprio Madame Clicquot a divenire il simbolo della maison: una delle poche donne imprenditrici dell’epoca, fu figura di rinnovamento grazie alle sue innovative intuizioni, come la table de remuage per purificare dai sedimenti dei lieviti o, nel 1818, il primo assemblaggio per creare la cuvée rosé, abbandonando le vecchie miscele con bacche di sambuco usate fino allora. Il vino rosso diventò protagonista, assunse un ruolo centrale per Clicquot, e il territorio di Bouzy, storicamente vitato e vocato per il pinot nero, fu individuato come il centro nevralgico in cui poter sperimentare.
Un’intuizione della Grande Dame de la Champagne degna di essere festeggiata a distanza di duecento anni.
Prima delle bollicine
Ogni Champagne nella propria infanzia è stato vino e da quella fotografia, da quell’istante, parte il percorso tracciato dallo chef de cave Dominique Demarville, da quei vini rossi che tanto intrigarono Madame Clicquot e di cui oggi ancora si percorre la visione alla ricerca della massima costanza qualitativa nel tempo.
I vin clair del 2017
Nel calice i vin clair (ovvero i vini prima della presa di spuma) della difficile vendemmia del 2017, segnata da condizioni climatiche avverse e da aggressivi attacchi di botrite che costrinsero a una severa selezione in vigna.
Primo step del panel il bianco, destinato all’etichetta gialla senza annata, la cuvée più famosa e diffusa della maison: ha carattere fruttato marcato con la pera, la pesca e il limone in primo piano, al palato ha svolgimento morbido, giocato sulla dolcezza, sul finale ha un guizzo amaro di scorza di limone a scapigliare il sorso. Dei rossi, tutti provenienti da Bouzy, il cuore rosso pulsante della maison, il primo è destinato alla cuvée rosé senza annata e se ne intuisce subito il carattere spensierato e immediato, in un abbraccio vinoso e caldo giocato tra fruttato e floreale che ne definisce giustamente la dimensione. Nel secondo calice, il rosso 2017 destinato alla cuvée millesimata: immediatamente il cambio di passo si intuisce con un carattere più introverso ma definito, con tocchi di grafite, sorso agile e fresco malgrado il tannino più incisivo. In ultimo il rosso destinato alla Grande Dame, la cuvée millesimata fiore all’occhiello della produzione Veuve Clicquot, dalla sola vigna del Clos Colin a Bouzy, vero e proprio Gran Cru Monopole aziendale: un frutto netto, evidente, fragola e lampone, ancora imbrigliato nelle sensazioni primarie ma con un deciso cambio di passo al sorso, materico e tannico.
I vin clair del 2016
Altra annata altro test: soli vini rossi della vendemmia 2016, bottiglie anonime, ordine casuale. Perfetta corrispondenza delle sensazioni, al netto dell’annata dotata di un apporto acido-tannico più incisivo, soprattutto per quanto riguarda il sorso. Nell’ordine: tannico e possente quello del Clos Colin per la Grande Dame 2016, agile e delicato quello della cuvée senza annata, preciso e diretto quello del millesimato. Un quadro che restituisce quanto la ricerca dello stile, dell’impronta inconfondibile esaltata dalle differenze delle annate, riesca a trovare riscontro nel calice.
La prova delle cuvée rosé
Ancora più divertente e istruttivo il terzo step della degustazione: una degustazione con calici neri con delle cuvée rosé con percentuali di vino rosso del 12, 13 e 14% (il calice nero ovviamente usato per non vedere le differenti gradazioni cromatiche). E comprendere come, se per le cuvée al 12 e 13% le differenze sono maggiormente sfumate grazie alla florealità e alla freschezza dell’olfatto presente in entrambe, nel caso della cuvée al 14% la differenza diventa abissale e restituisce un vino in cui il frutto diventa nettamente più scuro e introverso, il sorso più tannico e possente. A dimostrazione di quanto la ricerca del miglior assemblaggio, annata dopo annata, anche nell’utilizzo dei vini di riserva - grande patrimonio della maison - sia tanto importante quanto difficile e di quanto sia centrale il contributo del pinot nero nelle scelte di Dominique Demarville e del suo staff.
Bouzy: dalla vigna alla cantina
Lo scenario si sposta a Bouzy, uno dei territori più importanti delle montagne di Reims per la produzione di Champagne da pinot nero. Il centro abitato si vede perfettamente dal Clos Colin, la vigna monopole di Veuve Clicquot perfettamente esposta a sud le cui uve contribuiscono esclusivamente alla cuvée millesimata La Grande Dame rosé. Nel percorso studiato da Dominique Demarville non poteva mancare una tappa in vigna, soprattutto per sottolineare l’impostazione attuale e la filosofia di Veuve Clicquot: agricoltura sostenibile, il più vicina possibile al biologico. L’utilizzo degli erbicidi è stato bandito del tutto - e l’inerbimento delle vigne è testimone di vigoria e vitalità del suolo - tanto da indurre a incentivare i conferitori a non usare chimica aggressiva attraverso remunerazioni maggiori delle uve. Un impegno che ha portato risultati importanti in termini ambientali e di qualità del prodotto.
Dallo splendido cru baciato da un sole splendente, si passa alla filiale di Bouzy, una cantina interamente dedicata alla vinificazione dei vini rossi. Niente diavolerie e tanta concretezza, tanto acciaio alla ricerca della maggior purezza varietale e territoriale possibile, pochissimo legno che contribuisce per il 5% della produzione. Si torna all’assaggio con una chicca: i Coteaux Champenois, vini rossi fermi con proprio disciplinare all’interno del territorio della Champagne, da uve provenienti dal Clos Colin, quasi dei vin de garageall’interno di una produzione imponente come quella di Veuve Clicquot.
Se il 2016 ha tratto delicato e ossuto, freschezza acida a sostegno del sorso, il 2015 ha maggiore solarità al naso pur pagando qualche incertezza olfattiva e un centro bocca meno brillante. Altro passo il 2012: pieno, carnoso, strizza l’occhio alla Borgogna con una struttura più ricca, rivelando anche un grado alcolico maggiore. Più frutto, più corpo, più vino, un ottimo viatico per ciò che avverrà al piano di sopra.
Vintage rosé: la verticale
Arriviamo all’atto finale, dopo una serie di diapositive del rosé: da quella scattata prima di diventare champagne, passando per quella in vigna per poi giungere in cantina. Dalla riserva privata della maison, tra dati analitici e meteorologici, la sfida nel tempo del protagonista di giornata: una carrellata di sensazioni ed emozioni in cui il vino più giovane ha quasi trent’anni.
Cave privée Rosé 1990 (Magnum)
Annata calda, con primavera ed estate soleggiate ma precedute da qualche gelata. Annata di potenza e concentrazione ma non priva di acidità a sostegno, con la vendemmia effettuata a metà settembre. Malgrado sia il più giovane, qualche ruga di troppo ne segna il profilo: sensazioni autunnali di funghi e foglie secche, tabacco e cuoio, ha nella rotondità e nella dolcezza della bocca il punto di forza, la motrice che ancora lo sostiene.
Cave privée Rosé 1989 (Magnum)
Annata calda anche questa, ancora di più rispetto alla 1990 ma molto simile, come andamento, ad annate mitologiche come la 1945: concentrazione e potenza, uva ben matura ma con meno acidità della 1990, vendemmia anticipata a inizio settembre. Champagne solare, ancora interamente sul frutto, con la pesca nettarina in evidenza, un mix di spezie in cui spicca la cannella, con ovviamente gli aromi terziari del cuoio e del tabacco dolce, lunghezza mirabile al sorso che risulta ampio e sostenuto da buona freschezza acido-sapida.
Cave privée Rosé 1985 (Magnum)
Annata disastrosa in Champagne, non per la qualità ma per la quantità: fredda, con gelate a ripetizione e una raccolta effettuata in ottobre in attesa della maturazione che risultò perfetta. Come perfetto risulta oggi questo rosé: fresco, dinamico, l’olfatto tra pesca e fragole di bosco, tinte chiare che vengono screziate dal miele di castagno e dalla terrosità del tartufo bianco. Continua su spezie dolci, cuoio e menta, un sorso salato e vigoroso ne allunga un finale impeccabile.
Cave privée Rosé 1979
Grande annata in termini di quantità, molto fredda, poco alcolica, con vendemmia a inizio ottobre. Particolarità del millesimo: fu quello che beneficiò della più alta percentuale di vino rosso nel blend, ben il 19%. Champagne maturo che ricalca parzialmente le sensazioni del 1990 pur con presupposti vendemmiali opposti: le componenti terziarie sono in evidenza, tra tabacco, terra smossa, cuoio, foglie secche, l’acidità importante leggermente slegata dal corpo che resta comunque saporito e agrumato.
Cave privée Rosé 1978
Annata opposta alla ‘79 per la quantità, davvero bassa, ma sempre molto tardiva (vendemmia in ottobre) e fresca, ricca di acidità. Fascino e vitalità, note dolci e mature di miele di castagno, carcadè, cannella, pesca, frutta disidratata e tabacco dolce, soffice e morbido al sorso, pulsante ed elettrico, ad allungare una persistenza infinita.
Rosé 1961
Degorgiato il giorno della degustazione, senza alcun dosaggio. Annata fresca e tardiva, restituisce uno Champagne che ha fatto un patto con il diavolo, un Dorian Gray allo stato liquido: ricco, ancora sul frutto, eleganza da vendere, perfezione che non dimostra gli anni sulle spalle. C’è ancora la pesca e il tratto mieloso, l’evoluzione c’è ma è secondaria rispetto alla lunghezza e al ricordo infinito che lascia nel palato e nella mente.
Rosé 1947
Degorgiato il giorno della degustazione, senza alcun dosaggio. Annata calda, poco generosa in termine di quantità. Altro Champagne incredibile ma su note più mature e calde, insiste sul terziario i tabacco e fiori secchi, il frutto c’è ma disidratato, pennellate sui toni pastello caldi della cannella e del chiodo di garofano, sorso ampio e orizzontale, ancora succoso. Eleganza, classe, compostezza.
a cura di Alessio Pietrobattista