Con lui la pasticceria è stata, definitivamente, riconosciuta come un'arte. Ma noi ne scorgiamo soprattutto i collegamenti con l'alta moda. Perché, pure se Pierre Hermé, Miglior Pasticciere al mondo nel 2016 per i World’s 50 Best e “il Picasso dei pasticceri” secondo Vogue, definisce il suo mestiere come un'espressione della sensibilità alla stregua di musica e pittura, noi continuiamo a vederne il legame con l'haute couture; d'autore, sì, ma sempre strettamente legata al mercato. Per questo preferiamo un'altra definizione: “il Dior del dessert”.
Pierre Hermé. Stphane_de_Bourgies
Il suo arrivo in questo mondo da protagonista, dopo esperienze con altri grandi come Gaston Lenôtre e Fauchon, ha introdotto nella pasticceria le dinamiche di un certo tipo di sartoria d'autore, con tanto di collezioni stagionali e limited edition presentate con eventi degni di un grande stilista, richiamando schiere di appassionati nelle sue boutique. Perché la maison Pierre Hermé ha boutique in tutto il mondo, tanto per rinsaldare, anche nel vocabolario, il legame con l'alta moda.
Mogador. Autunno Inverno 2013
I macaron
L'invenzione delle collezioni ha rilanciato sul panorama internazionale i macaron, colorati e fragranti dischi di farina di mandorle ripieni di una vellutata ganache che, prima di lui, erano “semplicemente” dei dolcetti. Oggi sono un oggetto di culto e da collezione, seppur impermanente. Se, infatti, prima si limitavano ai gusti classici, anche un po' scontati - cioccolato, caffè, vaniglia, lampone – oggi sono il veicolo di sperimentazioni e acrobazie di gusto, che ne bilanciano la dolcezza. E questo lo si deve a lui. Pierre Hermé li ha, di fatto, reinventati. Donandogli nuova vita e uno spettro di sapori sino ad allora impensabili, dedicandogli persino una giornata - il 20 marzo - con una iniziativa di beneficenza che da una decina di annisi celebra in diverse parti del mondo.
Ispahan. Autunno Invero 2013
Belli da vedere e buoni da mangiare, irresistibili nella varietà dei sapori e negli accostamenti presentati di anno in anno, Hermé li ha ripensati, introducendo, nella loro ricetta base, erbe aromatiche e fiori (come Ispahan: rosa, lamponi e litchi), o abbinando ingredienti salati come il foie gras con il cioccolato, o il tartufo bianco con la nocciola. Ci sono poi olio di oliva e vaniglia, basilico e limone, crema al formaggio composta d'arance e frutti della passione, e molto altro ancora. A testimoniare la tavolozza pressoché infinita di sapori da cui il pasticcere attinge e le altrettanto infinite combinazioni.
Un'intuizione che ha liberato la sua creatività, certo, ma anche un'operazione di marketing che genera, ogni anno, un'aspettativa altissima e la corsa alla conquista della nuova collezione, e che ha anche contribuito a creare, nel mondo, il mito di Hermé.
Infinite Vanille Tarte. Autunno Inverno 2014
Il metodo di lavoro
Dice “cerco l'essenzialità”, come risultato di un processo di pulizia, studio su sapori e texture, sviluppo preciso di ogni nuova creazione. A lui si deve la spinta verso dessert meno barocchi, alleggeriti dalle decorazioni (“ingombrano il dolce” afferma), l'uso misurato dello zucchero per esaltare gli ingredienti, come il sale. Per lui la nascita di un dolceè un processo intellettuale: una cucina della mente in cui elabora suggestioni diverse, immagina il gusto e l'avvicendarsi dei sapori, poi li descrive con parole e disegni al suo team, che realizza la creazione. La precisione è un elemento basilare che non consente dilazioni. “La creatività è tutta nella ricerca del gusto”. Crea e ri-crea, rileggendo e modificando nel tempo le sue stesse ricette. Per non parlare delle confezioni: il packaging è parte stessa della creazione.
Sensation. Autunno Inverno 2016
Le boutique
Il 72 di rue Bonaparte – primo indirizzo parigino – per i golosi, è come la Mecca per i musulmani: bisogna andarci almeno una volta nella vita. Una tappa imperdibile che fa subito capire chi è Pierre Hermé: la fila può continuare anche dietro l'angolo, e l'attesa superare l'ora. Solo per un Infiniment Vanille, un Envie, un Mogador. Torte, praline, sontuosi monoporzione da fine pasto, croissant - perfetti – da colazione. Tutto quello che compone il dolcissimo “universo Hermé”. 44 boutique, 17 solo a Parigi, 14 in Giappone, dove ha aperto il suo primo negozio 1998. Il primo di una lunga serie che fanno riferimento alla società creata, l'anno precedente, insieme Charles Znaty. Occorre attendere fino al 2001 per il primo locale in Francia, proprio a rue Bonaparte. Tre anni dopo arriva il secondo punto vendita nella capitale francese. Da lì in poi è stato un susseguirsi di inaugurazioni che non accenna a fermarsi: il primo dicembre un Bar à dessert sugli Champs Elisée, a breve anche un altro avamposto in Marocco, a Marrakech, nell'hotel La Mamounia.
Tarte Infinite Praline Noisette. Autunno Inverno 2017
Lo abbiamo incontrato a seguito di un incontro tenuto all'Accademia di Francia di Roma, nel ciclo “I Giovedì della Villa”
Come conciliare grandi numeri e grande qualità. Come si fa a mantenere uno standard qualitativo alto?
Tutta la creazione è centralizzata in un unico laboratorio a Parigi dove si fa studio del prodotto, sviluppo, ricerca. Ci sono poi degli atelier di fabbricazione in Francia, Giappone e Corea. Sono gli chef del laboratorio di Parigi a spiegare ogni cosa a chi quotidianamente produce macaron e cioccolata, in altri paesi vendiamo solo macaron e cioccolata, non pasticceria.
Per quanto riguarda le materie prime? Come assicurare che siano all'altezza?
La selezione delle materie prime è fatta solo da una persona, io.
Ma all'estero come fa, riesce sempre a trovare le materie prime giuste?
Se non le trovo della qualità richiesta rinuncio a fare il dolce.
Questo basta per assicurare che il livello dei dolci sia adeguato allo standard Hermé?
La qualità non dipende solo dal sistema, ma anche dalle persone, c'è una specie di salvaguardia della qualità nella trasmissione del saper fare: tra gli addetti alla produzione, la persona che è da meno tempo con noi ha 15 anni di anzianità, 15 anni di esperienza con la nostra maison.
Quanti dipendenti avete?
La Pierre Hermé Paris è una società di 600 addetti e bisogna che tutti i settori funzionino bene, che ci sia uno stesso livello nel servizio, è questo che assicura i nostri standard in Francia e negli altri paesi. È importante che le altre aree di supporto dell'attività di Pierre Hermé siano performanti: comunicazione, marketing, distribuzione, contabilità, parte grafica. Cose che non si vedono ma se tutte queste attività funzionano bene, consentono i nostri livelli di qualità.
Ha mai dovuto adeguare i suoi prodotti al paese in cui si trovano le sue boutique?
Quando decidiamo di aprire in un paese vuol dire che c'è un mercato, è stato già fatto uno studio, e sappiamo che possiamo incontrare il gusto di questo paese. Proponiamo sempre le nostre ricette originali, non le adattiamo mai le ricette.
Nessuna difficoltà data da una diversa percezione del dolce, di gusti o abitudini alimentari in altri paesi?
Abbiamo praticamente un numero illimitato di ricette, selezioniamo quelle che corrispondono meglio al gusto e alla cultura di ogni paese. Inoltre alcune ricette hanno subìto delle evoluzioni negli anni perché c'è una linea artistica, ma la creatività ci porta a fare delle nuove versioni di alcuni dolci. In alcuni casi una meno recente incontra meglio il gusto di un paese.
Nessun adeguamento, dunque?
Una grande differenza è nella confezione, nella parte grafica e nel packaging. Per esempio in Giappone nessuno acquisterà mai una scatola di cioccolatini da 500 grammi, preferiscono confezioni più piccole, da 8 o 10 cioccolatini. Questo è un criterio di cui tenere conto. Poi facciamo packaging specifici per ogni paese, per il Capodanno cinese ci sarà una scatola di macaron con una stampa particolare. Tutto ciò che riguarda la direzione artistica è molto importante perché esprime la filosofia e lo stile del marchio Hermé.
La pasticceria che posto occupa all'interno degli alberghi internazionali?
Si sta facendo strada e sta occupando un suo spazio. Noi, per esempio, oltre alle nostre boutique abbiamo anche la gestione di tutta la pasticceria di tre hotel: il Royal Monceau di Parigi, il Carlton di Kyoto e il La Mamounia di Marrackech che dovrebbe aprire dopo novembre. In questi casi abbiamo uno chef e due sous chef, e loro riportano tutta la loro attività al braccio destro. Perché voglio che sia rispettato perfettamente lo stile Hermé.
Ma anche quello che riguarda la proposta di dessert al piatto?
Sì, per esempio a Kyoto i dolci proposti nel ristorante giapponese sono nostri.
Il suo collega Iginio Massari sostiene che il dolce debba essere dolce, senza compromessi. Lei cosa pensa dei dessert vegetali, o acidi o amari?
Sono due cose che possono convivere: dipende da che cosa si ha voglia di mangiare alla fine di un pasto. Per me, nella carta di un ristorante, ci devono essere i due stili. Io stesso delle volte ho voglia di un bel dolce opulento, altre di cose più semplici, per esempio dei piccoli frutti caramellizzati. Una carta che si rispetti deve dare le due opzioni.
Ma un pastry chef deve nascere prima chef o prima pasticcere, secondo lei?
Credo che il punto di partenza debba comunque essere la pasticceria. I dessert da ristorazione hanno comunque basi comuni con i dolci da pasticceria.
Dunque proponete anche dei dolci meno ricchi nelle vostre boutique?
Apriremo una sala da tè, o meglio un bar à dessert, negli Champs Élysée il primo dicembre. Lì ci saranno dolci molto ricchi ma anche cose più semplici come frutta confit.
Non grida allo scandalo di fronte all'ipotesi di un dolce vegano, o crudista o senza glutine?
No, non grido allo scandalo. Li chiedono le persone, è un fenomeno culturale e di costume quindi è giusto rifletterci e dare una risposta. Anche se come pasticceri, a livello di formazione, non siamo preparati a queste esigenze, mi interessa approfondire questa questione. In ogni caso mi domandano spesso se faccio dolci senza glutine, in realtà il 60% dei miei prodotti lo è, per esempio i macaron.
Quali sono, attualmente, le grandi scuole di pasticceria?
Identifico ancora la scuola francese, come principale a livello mondiale, ma c'è sempre più contaminazione: vedo influenze austroungariche, italiane, spagnole, marocchine. Ancora molto limitata, invece, la pasticceria giapponese.
Chi sono i suoi eredi?
Molte persone che hanno lavorato con me e oggi sono diventati a loro volta pasticceri molto importanti e conosciuti. La mia eredità è rappresentata da loro.
Nessun nome?
Christophe Michalak, Christophe Felder, Frédéric Bau, ma anche molti che sono meno conosciute ma hanno molto talento.
Conosce il panorama italiano?
Ho una grande ammirazione per Iginio Massari, poi anche Roberto Rinaldini di Rimini, Andrea Acherer a Bolzano, Luigi Biasetto di Padova, Luca Mannori di Prato. Poi Massimiliano e Raffaele Alajmo.
Dolce preferito?
Torta di prugne di mio padre. Mi capita spesso di assaggiare creazioni di altri pasticceri e pensare che avrei voluto farle io.
Che ruolo ha la memoria nel suo lavoro?
Dico sempre a chi sto formando è importante la tecnica, l'aspetto scientifico, la conoscenza approfondita degli ingredienti, ma è importante anche l'aspetto emotivo, la memoria, cose che dobbiamo elaborare con letture e pratica. Bisogna andare oltre, cercare le informazioni, capire le cose.
a cura di Antonella De Santis