“Compro tutto, affitto tutto” dice nelle intercettazioni Luigi Moccia, E il tutto comprende locali, ristoranti, alberghi e tutto quanto compone il variegato mosaico del settore della ristorazione. Fino a quel Bar del Fico che pareva non riuscisse proprio a espugnare, come raccontato dalle pagine di Repubblica da Federica Angeli.
Il clan Moccia, è cronaca di questi giorni, è riuscito a inserirsi a pieno titolo nel settore della ristorazione romano, estendendosi dalla fornitura di ortofrutta e prodotti caseari, mozzarella di bufala in testa, alla gestione di ristoranti e alberghi. “A Roma siamo Moccia Fruit. A Napoli Moccia camorra” dicono ancora. Ma arrivare a loro dalla Geni srl che gestiva il commercio di latticini, non è stato facile, dato il sistema di prestanome e passaggi che rendevano invisibile la vera proprietà, fino a che il gioco è finito sotto l'occhio di Guardia di Finanza e Polizia nell'operazione detta Poseidone – Passion Fruit, che ha portato all'arresto di 7 esponenti del clan Moccia.
L'attività della Geni
Il clan Moccia ha messo in piedi un commercio di prodotti caseari che stava, non troppo lentamente, conquistando il mercato. Acquistavano la mozzarella da un caseificio di Afragola per distribuirla a Roma a prezzi decisamente concorrenziali Di prestanome in prestanome, di passaggio in passaggio, i molti ristoranti romani caduti nella rete si vedevano proporre un prodotto a un prezzo vantaggioso. Un distributore (quasi) come un altro di frutta e latticini che entra nel mercato con prezzi stracciati, di fatto inquinandolo. Perché dietro l'attività lecita c'è un sistema camorristico e capitali di dubbia provenienza. Abbastanza per poter offrire la mozzarella acquistata ad Afragola a cifre molto più basse dei concorrenti, e per operare strategie di vendita e promozione aggressive: omaggi, forniture prova e quant'altro, assolutamente legale, può fare un imprenditore che ha alle spalle una grande forza economica. Così la rete commerciale ha raggiunto almeno una ventina di insegne capitoline, tante sono quelle emerse dalle intercettazioni, ma si suppone siano molte di più. Una lista di 20-30 ristoranti “selezionati dalla Guida del Gambero Rosso” da contattare per la distribuzione dei prodotti. Non tutte quelle nominate sono effettivamente state raggiunte dalla mozzarella dei Moccia. Per esempio Il Sorpasso di Prati, da dove i titolari Fabio Giacomobono e Paul Pansera hanno replicato “Acquistiamo da 10 anni la mozzarella direttamente da La Perla del Mediterraneo”; chiaro che negli anni molti fornitori e distributori abbiano fatto loro proposte e mandato prodotti in assaggio, e non solo per le mozzarelle. Forse, tra le molte offerte commerciali, c'era anche quella dei Moccia. Perché, anche se non sono mancati atteggiamenti intimidatori, nella maggior parte dei casi non si trattava di altro che di normali (e convenienti) offerte commerciali. Perfino 11 punti vendita Conad hanno avuto, sui propri scaffali, la mozzarella targata Moccia. Merito (si fa per dire) del sistema di infiltrazioni e prestanome che hanno aperto porte al clan.
Come difendersi?
Dal negozio della Geni di via Nemorense la mozzarella partiva verso le tavole di case private e di ignari ristoratori capitolini. Ma come ci si può tutelare di fronte al rischio di incappare in aziende legate alla malavita? Dalla Guardia di Finanza non arrivano messaggi incoraggianti: “un sistema sicuro non c'è. Ogni imprenditore, però, può mettere a frutto la propria esperienza nel settore” per esempio sospettare di prezzi troppo bassi. Che possono essere indizio di irregolarità, per esempio nel trattamento dei dipendenti, di pagamenti in nero, di rispetto delle norme di sicurezza. Sono solo ipotesi, naturalmente. Insomma: ci sono dei campanelli d'allarme e qualche dubbio può venire.
Un mercato inquinato
Dalla Fipe Concommercio Roma, Fabio Spada rilancia: “Non c'è nessun modo di difendersi perché le associazioni di categoria possono pure essere sentinelle ma non è pensabile che possano essere un passo avanti alla magistratura”. Ma le voci di corridoio? Tutti quei “di quello lo sapevano tutti” che emergono a conclusione di ogni inchiesta? Quelle ci sono, ma rimangono tali fino a prova contraria. “La magistratura ha tempi lunghissimi, significa che se ci sono motivi di sospetti su qualcuno, le indagini possono durare pure 10 anni prima che vengano chiariti, nel frattempo, qualunque sia l'esito, l'ambiente si è inquinato”. Intende che se i dubbi sono fondati, e ci sono illeciti, si alimenta un sistema di regole malsane che falsano un mercato libero e sano. Se invece non ci sono irregolarità o infiltrazioni malavitose? “comunque si alimenta un panorama di diffidenza diffusa, in cui tutti dubitano di tutti. Le voci toccano a turno un po' tutti. E lavorare in un ambiente avvelenato in cui tutti sono considerati compromessi, sia chi lo è veramente sia chi invece no, che mischia buoni e cattivi in un unico calderone, significa abbassare la guardia”. E la guardia non si può abbassare, perché non ci sono solo le organizzazioni di stampo mafioso: “il problema è anche la delinquenza quotidiana, l'evasione, le irregolarità che creano un sistema intossicato da una concorrenza sleale”. In cui il mancato rispetto delle regole, piccole o grandi, diventa un'abitudine pericolosa.
a cura di Antonella De Santis