Da Madrid arrivano segnali di autocoscienza: la Spagna del cibo richiama tutti a una riflessione sulla cucina contemporanea e i suoi strumenti. Il tema del congresso non ammette incertezze: i linguaggi della post avanguardia. E per chiarire meglio cosa sia la post avanguardia della cucina arriva Quico Sosa (fornitore di molti chef, tra cui Ferran Adrià) che, in un intervento molto teorico, delinea punti chiave e percorsi della gastronomia degli ultimi 50 anni, con una infografica che chiama in causa nouvelle cuisine e cucine storiche tradizionali definendone gli elementi in comune: idee, tecniche, istanze, ingredienti, per tracciare la storia dell'evoluzione alimentare moderna. Quali sono i cardini della post avanguardia? La fascinazione per tecniche ancestrali e i sapori estremi, la visione del territorio come sintesi di natura, tradizioni e cultura, il menu degustazione da 7 a 20 portate, la libertà del cuoco, la creatività. Ma il vero elemento in comune tra i due poli della Nouvelle Cuisine e della cucina di oggi è l'uso di nuovi ingredienti. Ed è proprio la scoperta degli ingredienti e delle tecniche di lavorazione dell'antichità l'oggetto del video “Marcial” proiettato nel congresso, in cui si individuano le basi dell'evoluzione gastronomica: osservare, pensare, creare.
Ma attenzione a non perdere di vista, nel seguire poetiche e concettualizzazioni, l'aspetto meramente pratico della ristorazione: “l'alta cucina è un business creativo” ammonisce Dani Garcia (dell'omonimo ristorante) “è importante anche la creatività imprenditoriale”. Che fa un po' il paio con quanto dice Josean Alija (Nerua Guggenheim Bilbao)quando parla delle strategie per adattarsi a un cliente molto vario. Fatti salvi l'ispirazione e il talento, la ristorazione deve essere in grado di sostenersi. E ognuno trova la sua formula.
L'ingrediente protagonista
L'ingrediente è il polo intorno a cui si muovono percorsi centrifughi. Quello di Josean Alija, che fa riferimento all'essenza del cibo ricercando in ciascun piatto il valore dei singoli prodotti e delle loro caratteristiche. E il percorso di Jordi Butron (Espai Sucre) che parla di ingredienti come di creature viventi, di cui è necessario conoscere in profondità le caratteristiche per poterli combinare in un piatto. Per fare questo è necessario crearsi una biblioteca dei sapori, perché quando si usa una materia prima ci sono molti aspetti da considerare: le texture, i sapori, gli aromi, e come questi cambiano nel variare delle temperature e delle lavorazioni. Di tutto questo bisogna tener conto quando si prepara una pietanza e anche quando si impiatta: è necessario infatti conoscere il modo in cui il cervello reagisce a determinati stimoli, per poi mettere il cibo nel piatto in modo che venga mangiato quando e come si vuole. Solo così si raggiungere l'obiettivo desiderato. “È più semplice imparare la tecnica che la conoscenza della materia prima” dice Butron, “però senza questa conoscenza non si può modellare un sapore”. È la tecnica al servizio dei sapori. Quelli dolci, perché questa riflessione si sviluppaall'interno di un discorso sul dolce, pietanza costruita su equilibri sottili: “Ildessert è uno sport di squadra” in cui gli elementi devono convergere con precisione, “perché il palato si stanca, anche del dolce”. E spiega con puntualità il motivo che trasforma cioccolato e banane in un'accoppiatavincente. Per Mario Sandoval (Coque), invece, la materia prima è la strada per la sostenibilità. Elo dimostra spiegando come il toro, un “grande prodotto ecologico spagnolo” debba entrare nelle cucine dei ristoranti e delle case, pure sotto forma di salume. Le sue caratteristiche, le grandi potenzialità anche come materia prima da trasformare, il legame con il territorio, l'identità iberica, ne fanno un prodotto unico di cui Sandovalsi fa ambasciatore.
La tecnologia
La creazione gastronomica èla ricostruzione di un sapore immaginato dallo chef. Nasce prima l'idea e, attraverso l'osservazione, la riflessione, la cucina, si arriva al piatto finito. Parte dal palatomentale Ricard Camarena (Restaurante Ricard Camarena),ma poi si affida agli strumenti, come quello (che arriva dritto dritto dai fast food) che usa per cuocere le melanzane senza che si ossidino, lasciandole bianche e dalla texture incredibilmente morbida, nel piatto che le vede laccate dal grasso del tonno. O nelle cotture che lavorano sulla pressione per estrarre il sapore e gli aromi per i consommé di gamberi. Un'ispirazione globale, che assorbe spunti e suggestioni dal mondo circostante, e si arricchisce anche delle molte personalità che alimentano la cucina spagnola in questi anni.
La creatività della tavola
Ci pensa Paolo Lopriore, sul palco insieme ad Andrea Salvetti (artista e designer che da un paio di anni trasforma le sue idee in oggetti polimorfi per la tavola) ad aprire una prospettiva diversa. Il momento della creatività nasce con lo chef, in cucina, ma termina sul tavolo, dove si nutre dell'energia dei commensali chiamati a interagire con il cibo, scegliendo il modo in cui consumarlo, mescolarlo, adattarlo al proprio desiderio. Sono opere aperte che reclamano l'intervento di chi, ultimo anello di una catena di talenti, deve mettere in gioco se stesso di fronte agli oggetti creati da Salvetti, che assolvono alla doppia missione: funzionale, di cottura del cibo nel modo in cui lo chef l'ha immaginato (pensiamo alla Vaporiera o al Mystery), ed emozionale.
La cucina come evoluzione
Daniel Humm (con Will Guidara all'Eleven Madison Park di New York) e Grant Achatz (Alinea di Chicago) ragionano di cucina d'avanguardia dall'altra parte dell'Oceano. Con quale tradizione si devono confrontare gli chef americani? La risposta è che bisogna avere per riferimento “le” cucine degli Stati Uniti, ovvero un'enormità di suggestioni da cui attingere senza regole. Una realtà multiforme che merita ormai un suo riconoscimento: New York in 300 anni di vita ha costruito una grande storia culinaria, nata dalla presenza di persone da tutto il mondo, con tante tradizioni diverse. E lo conferma Humm: “Siamo un ristorante influenzato dal cibo globale, anche se manteniamo una grande attenzioneper il prodotto locale. New York èuna terra di frontiera”così come lo sono Los Angeles e San Francisco. “Quando vado in posto nuovo lo guardo con la lente della cucina: mi chiedo cosa c'èche non abbiamo noi, ma è difficile perché a New York c'è tutto”. Se proprio si vuole trovare una caratteristica della cucina americana, quella più marcata è la libertà. La libertà di rompere le regole che ben si sposa con l'evoluzione, il rinnovamento, il diritto a cambiare e magari a fare un passo indietro. Lo dice Achatz,ma è un sentire condiviso. Si tratta di togliere il superfluo, passando da un degustazione di 14 piatti a uno da 7 (ma devono essere perfetti, ammonisce) o conducendo l'interazione con il cliente. “Ora possiamo creare un ristorante più emozionante che esprima la nostra personalità in cucina ein sala” dice Humm. Ma se non avere un modello definito da seguire è molto liberatorio “come fa un giovane chef a sapere quale è il modo corretto e la strada giusta da seguire?" si chiede Achatz. " Non c'è una ricetta sicura che funzioni". Ci devono essere piatti buoni,belli, creativi, magari con una testura sorprendente, ma soprattutto ci deve essere una storia, unmotivo, un obiettivo in quello che si fa.
In costante evoluzione, radicale, estremo, provocatorio, arriva David Munoz (Diverxo) con la sua cucina ad alta velocità. Una ristorazione che si pone continue domande, rischia e stupisce con improvvise sterzate. L'enfant prodige dell'alta ristorazione spagnola è unoche va a mille, tutto istinto e irriverenza. Uno che gioca e cambia le carte in tavola. Che sostiene che l'aspetto intellettuale del piacere del cibo è molto più importante di quello fisiologico, ma anche che il sapore è il 90% dell'esperienza gastronomica, che si trova a concettualizzare, a riflettere sull'armonia degli ingredienti, a lavorare sulle aspettative dei clienti, e che punta a comporre piatti ad alto tasso di intensità, piatti a più dimensioni che sappiano raccontare una storia nella bocca. Una storia di creatività spinta.
La cucina della riflessione
L'invito al ragionamento più intenso è quello di Elena Arzak (con il padre Juan Mari all'Arzak) che invita a ripensare, rileggere, reinterpretare, rivalutare, rivendicare, ridefinire, riusare, riflettere, ricercare, rivoluzionare. Parla ispirata e accompagnata dalla musica dal vivo, e richiama tutti a una presa di coscienza: la cucina ha un ruolo, il cuoco una responsabilità sociale. Ogni cosa deve essere ripensata adattandola al momento storico e sociale in cui viviamo: oggi cambiano le culture, cambiano le esperienze e la cucina che mette in ballo il sapere della comunità deve svegliare gli animi, perché bisogna difendere il diritto alla felicità di ognuno. E la felicità è anche nell'effetto straniante di un dolce semplicissimo, come la mela cotta nel cioccolato, che però crea aspettative e stupore perché sembra una cipolla e obbliga a ripensare ciò che si mangia. Così come nel caso del piccione con frutti rossi e salsa di brandy e armagnac, in cui i trucioli profumati del legno di un liutaio regalano un momento di sorpresa e magia.
a cura di Antonella De Santis
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