Viticoltura campana, prove di unità. A Vinitaly tutti sotto lo stesso tetto

9 Apr 2017, 12:30 | a cura di

Da sempre divisa e variegata, oggi la produzione campana sembra muoversi sulla strada dell'unità. Lasciata alle spalle l'anteprima sul territorio, si presenta a Vinitaly sotto un unico tetto. Irpinia compresa, dove il dualismo consortile si avvia verso il dialogo


Dalle anteprime territoriali a Verona

Qualcosa si muove. La Campania del vino, da sempre troppo frammentata, con le sue 19 Dop e i suoi 100 vitigni, comincia a capire l’importanza dell’unità. Lo ha fatto e mostrato sul campo, presentandosi al pubblico di appassionati e di professionisti con un evento ormai regionale come Campania Stories, appena concluso in quel di Napoli coinvolgendo tutte le province, con una partecipazione di oltre 70 aziende aziende vitivinicole. Lo sta facendo in un evento nazionale come Vinitaly, dove per la prima volta si presenta in modo unitario nello stesso Padiglione (4800 metri quadrati nel Pad B) e sotto il brand Campania, anziché divisa in territori, consorzi o associazioni singole. Infine, lo farà anche di fronte ai mercati nazionali e internazionali, cercando di compattarsi, il più possibile, in una rete di consorzi fortemente voluta da Nicola Matarazzo, direttore e coordinatore dei tre consorzi di tutela: Vita Salernum Vites, Sannio e Vesuvio.

campania stories Immagine di Campania Stories

Il sistema Campania

A Matarazzo chiediamo cosa si intende oggi quando si parla di viticoltura campana, come è cambiata nel tempo e quali sono i tratti che la contraddistinguono. “La viticoltura campana” dice “è una sorta di mosaico, dove ogni territorio ha una sua specificità. Si tratta, quindi, di aree non in competizione tra di loro, perché fortemente caratterizzate dalla biodiversità: dalle piccole vigne di Capri, ai bellissimi scenari di Ischia, dai terrazzamenti eroici della costa di Amalfi al parco nazionale del Cilento. E poi ancora i vini del Vesuvio e l'area interna dell'Irpinia. Tutte zone quasi impenetrabili - anche per motivi storici - ai vitigni internazionali. Qui la fillossera che colpì l'Europa arrivò con molto ritardo, favorendo lo sviluppo degli autoctoni e della viticoltura in genere: nel primo decennio del XX secolo la Campania era la prima regione vitivinicola italiana, con 220 mila ettari vitati. Adesso siamo sui 25 mila ettari, con una produzione di 1,6 milioni di ettolitri che fa collocare la Campania tra l'ottavo e il decimo posto della produzione regionale italiana.La salvaguardia dei vitigni autoctoni, anche negli anni in cui le mode spingevano verso altre direzioni, rappresenta oggi un punto di forza anche sui mercati esteri. Su tutti spiccano i due più resistenti: la Falaghina del Sannio per i bianchi e l'Aglianico del Taburno per i rossi”.

E, sebbene la produzione regionale sia suddivisa tra il 46% di bianchi (756 mila ettolitri) e 54% di rossi (858 mila ettolitri), negli ultimi anni si assiste a una sorta di rivincita dei primi, soprattutto grazie alle caratteristiche da invecchiamento che consentono una maggiore possibilità di abbinamento a tutto pasto. Da un punto di vista strutturale, le oltre 400 cantine del territorio (si consideri che negli anni '80 erano appena qualche decina) sono aziende di tradizione familiare, di dimensioni medio-piccole e poche realtà cooperative. Di grandi dimensioni se ne contano soltanto quattro nelle zona del Sannio: Vigne sannite, la Guardiense e le coop di Solopaca e del Taburno.

 

Il ruolo del consorzio del Sannio

In questo mosaico di vini e territori, i consorzi devono essere sono una sorta di palestra del dialogo, dove si impara a parlarsi e a collaborare”ricorda Matarazzo, secondo cui la sintesi migliore è rappresentata dal Consorzio del Sannio(400 soci per la produzione di Aglianico del Taburno Docg e Dop; Sannio Dop; Falanghina del Sannio Dop e Benevento Igp), che ha un po' fatto da apripista per tutti gli altri, riuscendo a usufruire dei fondi Ocm - Organizzazione Comune del mercato unica - e dalle misure Psr, il Programma di Sviluppo Rurale (cosa non sempre facile in una regione come la Campania). “Nel Sannio” dice il direttore “ci siamo riusciti grazie a un gruppo di produttori che ha messo da parte i propri interessi personali in nome del territorio, ma ovviamente contano anche i numeri per poter fare massa critica. Si tenga presente che Benevento è la provincia che da sola rappresenta quasi la metà della produzione campana (sono 10.500 gli ettari vitati; ndr)e dove molte famiglie vivono solo di viticoltura. Anche con gli altri consorzi ci stiamo muovendo su questo esempio, cercando di creare una reteper promuovere una visione condivisa. Lo abbiamo fatto, ad esempio, organizzando dei corsi per agenti vigilatori, da cui abbiamo scelto quattro 'sentinelle' a servizio dei consorzi per il controllo di tutti i punti vendita d'Italia”. In un anno 20% di segnalazioni, poi regolarmente segnalate all'Icqrf.

 

La Campania a Vinitaly

Ma la vigilanza, non è l'unica attività promossa dalla rete consortile: in questi giorni tutti i consorzi campani (ai tre riconosciuti, si aggiungono anche Vitica, Campi Flegrei Ischia e Capri e Vini d'Irpinia)si presenteranno a Vinitaly sotto l'unico brand Campania, con il claim “dove il vino è leggenda”. “Negli anni precedenti ci siamo presentati al Vinitaly in modo fragile, ognuno per la sua strada” ha evidenziato il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Lucaquesta volta abbiamo lavorato tanto per presentarci in modo unito con il marchio Campania. Non abbiamo grandissime quantità prodotte rispetto ad altre regioni, ma abbiamo qualità ed eccellenza del nostro vino. I dati sull’export parlano di un incremento, dal 2006 al 2016, del 261%, a fronte del dato nazionale del 80%”.

Il direttore Matarazzo spiega com'è andato l'iter del dialogo: “Abbiamo presentato il nostro progetto collettivo alla regione” dice “trovando la collaborazione e soprattutto la lungimiranza dell'assessore Franco Alfieri. L'obiettivo è comunicare questo mosaico regionale, senza mettere il cappello di questo o quel consorzio. Sperando che anche l'Irpinia – oggi probabilmente il brand territoriale più forte della Campania – trovi una propria strada, dopo aver puntato per tanti anni sulla costruzione di brand individuali per sopperire alla mancanza di una rappresentanza effettiva”.

 

L'Irpinia verso il dialogo

Il riferimento è alla situazione attuale irpina, che vede la presenza in contemporanea di due consorzi, ma nessuno dei due in questo momento riconosciuto dal Mipaaf. Da una parte l'ente di rappresentanza storico, nato nel 2003: Consorzio Vini d'Irpinia; dall'altra quello di nuova costituzione - Viticoltori Irpini - presieduto da Rosanna Petrozziello, che ci racconta i risvolti della vicenda: “Ci siamo costituiti ufficialmente lo scorso 28 novembre e in pochi mesi siamo passati da 53 a 90 cantine socie. Considerando che il territorio conta circa 120 cantine, più i conferitoti, possiamo dire che l'adesione è stata quasi unanime”. Ma la domanda che in molti si fanno è: perché un nuovo consorzio di rappresentanza? “Quando 15 anni fa nacque il consorzio storico” spiega Petrozziello“si puntava a raggiungere la tutela per poter rendere più competitivo il territorio, ma nel giro di pochi anni tutto si arenò. E qui tutti dobbiamo fare il mea culpa, perché nessuno di noi ha preso in mano la situazione per uscire da una situazione stagnante. Probabilmente allora eravamo ancora piccole aziende, non ancora svezzate e pronte a tutto quello che significava promuovere il vino. Ci abbiamo messo 15 anni a rimboccarci le maniche e rimetterci in gioco per smuovere il territorio con un nuovo ente di tutela”.

Di sicuro ha smosso il consorzio storico che, con il neo presidente Stefano di Marzo (eletto lo scorso novembre al posto di Milena Pepe), è pronto per richiedere il tanto agognato riconoscimento al Mipaaf. Ma – in molti adesso si chiedono – dopo le fuoriuscite di questi mesi, ha ancora i numeri per farlo? “ I numeri oggi ci sono” annuncia Di Marzo “ed entro il 2017 contiamo di diventare a tutti gli effetti consorzio di tutela di primo livello, per puntare, poi, all'erga omnes”. A proposito del dualismo che si è creato insiste sul concetto di dialettica: “in una realtà ampia e complessa come quella irpina, la pluralità di voci non può che essere un arricchimento. L'importante è che alla fine si confluisca in un soggetto unico in cui tutti si riconoscano. Mi auguro che sia così e che dal confronto, il consorzio ne esca rafforzato”.

Al momento, quindi, fare previsioni a lunga scadenza sembrerebbe impossibile, ma la nuova strada intrapresa dai due consorzi sembrerebbe - deposte le armi della competizione - quella del dialogo, come sottolinea anche Petrozziello: “Capiamo che non si può rappresentare il territorio puntando sulle divisioni, per cui in queste settimane più volte abbiamo incontrato il cda del consorzio Vini d'Irpinia per trovare una soluzione e, possibilmente, un cammino condiviso. Quello più probabile sembrerebbe il cammino della “ri-fusione” per arrivare alla fine a una richiesta condivisa di riconoscimento al Ministero: “Ciò che chiediamo” continua“è una vera rappresentatività, senza continuare a perdere i fondi europei che ci spetterebbero. Il brand Irpina è già molto conosciuto all'estero, probabilmente siamo noi a essere rimasti indietro. L'importante, quindi, è ristabilire le regole da seguire. Io sono disposta a fare un passo indietro, ma” puntualizza la presidente “deve essere garantita la rappresentanza democratica di tutti le aziende, anche le più piccole”. Intanto, a dimostrazione che qualcosa è cambiato, il presidente Di Marzo annuncia che il 26 maggio nel Castello di Taurasi sarà lanciata la prima edizione di Ciak Irpinia per presentare le nuove annate sul territorio: “Stiamo raccogliendo adesioni” dice“e c'è posto per tutti”. Ma il primo banco è appunto questo Vinitaly. Il primo dell'unione campana e il primo, ribadisce Di Marzo: “Non calato dall'alto, ma con la cabina di regia in mano ai produttori”.

 

a cura di Loredana Sottile

 

Questo articolo è uscito sul nostro settimanale Tre Bicchieri del 6 aprile

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