Fico-Eataly World di Bologna si allea con l'Agenzia Nazionale per il Turismo

16 Feb 2017, 17:00 | a cura di

Grandi flussi turistici e biodiversità: le parole chiave del superprogetto di Oscar Farinetti che da oggi si avvale dell'accordo con l'Agenzia Nazionale per il Turismo.

5 milioni di visitatori. Questo l'obiettivo dichiarato di Oscar Farinetti per il nuovo megaprogetto Fico (Fabbrica Italiana Contadina) di Bologna: un gruppo composito di stranieri e italiani, studenti e pensionati, con strategie messe in atto con tour operator, organizzazioni e associazioni varie e istituti scolastici. Un parco giochi dell'agroalimentare che si propone di replicare e completare l'offerta (e il successo) di Eataly, esplodendolo non solo in termini di dimensioni - 80mila metri quadrati - ma anche di contenuti. 

I tre punti attorno cui ruotano i megastore del cibo, mercato, didattica, ristorazione, con Fico si estenderanno a coprire l'intera filiera, includendo anche la produzione della materia prima (2 ettari open air sono destinati all'agricoltura e all'allevamento con 200 animali e altrettante cultivar) e la trasformazione con i laboratori: le 40 cosiddette fabbriche che replicano le molte aziende agroalimentari del nostro territorio (ma con una preminenza del Centro Nord, complice forse la difficoltà a trovare al Sud realtà sufficientemente grandi e organizzate da poter raccogliere l'opportunità, e insieme la sfida, di uno spin off nello spazio bolognese). Insieme ci sono 40 ristoranti, 6 giostre educative (dedicate al rapporto dell'uomo con fuoco, terra, mare, animali, vino e futuro, con percorsi didattici che si suppone fruiranno delle nuove tecnologie), aule che assicurano 50 corsi giornalieri e 30 eventi al dì e dei percorsi sulla storia della nostra cultura alimentare.

Un progetto colossale, che vuole far conoscere la nostra biodiversità e che, man mano che si avvicina il fatidico 4 ottobre (data prevista per l'apertura ma passibile di qualche slittamento), definisce caratteristiche e stabilisce legami.

 

Fico

L'accordo con Enit

Come quello con l’Enit, l’Agenzia Nazionale per il Turismo il cui compito è promuovere l’Italia nel suo complesso di tesori paesaggistici, artistici, culturali e anche enogastronomici; proprio questi ultimi oggi valgono, da soli, una spesa giornaliera media di 208 euro per ogni turista, e il dato è in crescita. Lo dice Fabio Lazzerini, consigliere d'amministrazione di Enit, che rappresenta il braccio operativo del Ministero Beni e delle Attività Culturali e del Turismo. Non a caso esiste un piano di sviluppo triennale dedicato al cibo e agli itinerari del gusto, volto a far conoscere la splendida varietà dei nostri territori, con le loro unicità naturali, agricole e alimentari. L'Italia del cibo è anche l'Italia della provincia e delle piccole città d'arte da scoprire, oggetto di un progetto attuativo per il 2017: l'Anno dei Borghi “emblema di una nuova visione turistica in Italia”, come ricorda Dorina Bianchi, sottosegretario con delega al Turismo del MiBACT.

Dice ancora Lazzerini, “l'obiettivo non è tanto portare più turisti a Venezia in piazza San Marco, ma di portare più turisti in Italia in destinazioni meno note”. Questo si fa soprattutto con il turismo di prossimità, mentre “chi arriva dall'altra parte del mondo avrà, probabilmente, come obiettivo le grandi città d'arte italiane”. Non solo: l'ambizione non è solo aumentare il turismo, ma incrementare i volumi di spesa. Per questo è fondamentale creare nuovi segmenti di visitatori e ordire un percorso turistico esperienziale, che sappia far vivere, ai nostri ospiti, una parte dell'Italia. E questo è uno degli elementi vincenti dell'enogastronomia: questa sua capacità di far entrare in intimità con i luoghi, di sviluppare le economie locali e di farlo in modo da sostenere una crescita in armonia con l'ambiente (cosa che, in più, risponde anche al piano Nazionale del Turismo sostenibile) e diffondere il lifestye italiano. “Enit si prende la responsabilità di far conoscere Fico in tutto il mondo” a partire dal prossimo ITB di Berlino, la fiera degli operatori turistici. E la sostenibilità è la carta da cui non si può più prescindere.

E sostenibile è anche un piano di riconversione di spazi come Fico, per il quale, ricorda Tiziana Primori (amministratore delegato di Eataly World) non solo non si è edificato nulla, ma “al contrario sono stati strappati 2 ettari di terra al cemento”. Fico nasce negli spazi che erano del Caab, il Centro Agro Alimentare di Bologna, sede del mercato ortofrutticolo. È stato creato un fondo immobiliare con investimenti privati (per circa 100 milioni di euro) usato per spostare il vecchio mercato e realizzare Fico. L'area è e rimane pubblica (80% del Comune e 20% della Regione) e tornerà tra 40 anni all'amministrazione. I ristoranti e le fabbriche sono stati dati in gestione a piccole e medie aziende che pagheranno a Fico una percentuale sugli incassi, mentre non ci sarà biglietto di ingresso.

Da narrazione ad attrazione. Con qualche dubbio

Dopo un decennio in cui Eataly ha colmato un difetto di comunicazione del nostro prodotto, portando di fatto il cibo italiano e la sua narrazione all'estero, ora Farinetti si pone l'obiettivo di attirare in Italia, in una Bologna che ha ancora ampi margini di sviluppo turistico, flussi di visitatori italiani e stranieri per fargli conoscere, da vicino, l'intera filiera che dal seme porta alla tavola.

Ma, ci si chiede, in che modo sarà possibile raggiungere l'obiettivo di raccontare la biodiversità italiana in un'area che, seppur estesa, non rappresenta che una sola delle molteplici zone agroalimentari italiane? Come spiegare la varietà e il legame con il territorio della nostra agricoltura traslocando le produzioni agricole lontano dal posto di origine e tradendo, di fatto, l'idea stessa di prodotto tipico? Come sarà possibile far conoscere realmente la cipolla di Tropea a Bologna senza snaturare completamente un prodotto che è la messa in atto delle potenzialità date dal terroir? E, allo stesso modo, come si potrà far capire l'unicità del prosciutto San Daniele, se poi lo si replica a Bologna, con l'evidenza della mancanza di quelle caratteristiche uniche di clima, territorio, cultura agricola che ne sono l'elemento che lo rende così speciale? Ovviamente quanto prodotto all'ex Caab - si tratti di salumi, ortofrutta o formaggi - uscirà a marchio Fico, dato che non si può usare un marchio di origine per un prodotto nato fuori dai luoghi definiti dal disciplinare. Dunque sarà un prosciutto “stile San Daniele” realizzato a Bologna, in un contesto in cui si raccontano “tecnica, tradizioni, lavorazione e allevamento della carne, perfino venti e ambiente friulano” volendo costituire così il punto di partenza di un possibile viaggio alla volta del territorio in cui nasce il prosciutto originale.

Non è però detto che poi – una volta visitato il prosciuttificio di Bologna - le persone andranno realmente fino in Friuli a scoprire il vero San Daniele con conseguenti benefici per l'economia locale, o se potranno dire di averne compreso l'unicità al punto da cercarla e saperla riconoscere una volta tornati a casa (con benefici per il nostro export e contrasto all'italian sounding), avendone visto solo una copia, seppur di grande qualità. Ma Farinetti, da grande imprenditore quale è, negli anni ci ha abituato a colpi da maestro degni del miglior fantasista. “Consideratelo come il Louvre del cibo, un monumento di cui essere orgogliosi tutti” dice ancora Farinetti “la rappresentazione completa della biodiversità italiana per il mondo”. Come un centro di smistamento e cultura da cui prendere l'avvio per rilanciare il territorio intero. “Un luogo vero, in contrapposizione ai non luoghi”, lo definisce “un luogo dove c'è vera agricoltura, vera didattica, vero artigianato alimentare, vera ristorazione” per far comprendere a tutti i visitatori la straordinaria ricchezza agroalimentare del nostro paese, volano per un rilancio turistico dell'Italia. Cosa di cui tutti noi abbiamo bisogno.

 

a cura di Antonella De Santis

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